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la vocazione religiosa

 

"Lucantonio voglio essere servito da te": il suono di queste parole, ripe­tute per ben tre volte, il nostro pastorello riconobbe la voce del Signore che lo chiamava e che gli rivelava la propria volontà. Dio non tardò, cioè, di far conoscere la forma di vita in cui quel ragazzo doveva impegnarsi. La sua vocazione di frate minore, però, si rese concreta molto più tardi: prima che Lucantonio potesse dedicare completamente la vita a Dio passarono, infatti, nove anni; un tempo di preparazione in cui egli si mantenne costantemente fedele a quanto deciso. In questo periodo di vita familiare, si rese disponibi­le in tutto alle esigenze di ogni membro della famiglia, lasciando che giun­gesse il tempo opportuno ma bruciando nell'attesa. Solo quando riconobbe, che il momento era ormai maturo per chiedere ai frati di accoglierlo, senza aspettare ancora, si confidò con la sua famiglia, fu benedetto da loro e si avviò al convento di Dipignano, dove il Padre provinciale dei frati minori si trovava per una visita canonica.

 

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IL NOVIZIATO

Al Padre Provinciale, Lucantonio chiese di essere ammesso tra i frati minori e questi lo accolse volentieri, lo vestì del saio francescano e cambiò il suo nome con quello di fra Umile. Così, il nostro frate si avviò verso il con­vento di Mesoraca per iniziare il suo anno di noviziato.

Giunto qui, pose ancora maggiore attenzione alla purezza della sua anima confessando profondamente e spesso i suoi peccati: pur vivendo con amore per Dio e per i fratelli, fra Umile aveva un gran senso del peccato; sapeva distinguerlo, lo soffriva quale realmente era, lo confessava fiducioso nella misericordia di Dio che per amore dimentica ogni cosa. Tra le sue pre­ghiere abbiamo ritrovato una personalissima versione del salmo 50; una delle più acute suppliche della Bibbia che, in bocca a fra Umile, si impre­ziosisce con espressioni di profonda tenerezza:

«O Padre mio celeste, io son quella peccatrice anima, e sfacciata mere­trice, già sposa vostra, che cotanto ho offeso la Maestà Vostra infinita con tanti gravi peccati, ch'io non li posso numerare. Perdonate mio Dio questo povarello di fra Umile indegno riformato, mentre vi domanda perdono. Tibi soli peccavi, et malum coram te feci. Tibi soli peccavi.»

Nel convento di Mesoraca, egli cominciò a soddisfare le esigenze della sua vocazione, a vivere cioè il suo amore per Dio con generosità, secondo la regola di S. Francesco che è - come egli stesso la chiamava - midollo del Vangelo. S. Francesco insegna nel Saluto alle virtù che "colui che pratica una virtù e non offende le altre, le possiede tutte" (ff. 257): colpito da questa cer­tezza, fra Umile scelse di praticare fedelmente la virtù dell'umiltà che, con l'obbedienza, divenne la base della sua vita interiore.

Affidò la sua vocazione alla Vergine Maria che sempre avrebbe amato con devozione, e alla quale rivolgeva spesso queste parole per chiedere la perfezione nel Bene: «O Maria Madre di Dio, ed Avvocata di tutti i pecca­tori, ed in particolare di me povarello, più di tutti i peccatori vilissimo, a Voi ricorro Maria Vergine, Concetta senza alcuna macchia, o neo di peccato, Voi chiamo in aiuto, a Voi mi raccomando o Santa Maria, impetrami questo Amore, ottenemi questa perfettione».

Durante il noviziato di fra Umile, il Signore fece intendere miracolosa­mente quanto quel giovane gli stesse a cuore. Il Padre maestro dei novizi, infatti, lo sottoponeva spesso, come aveva già fatto il parroco, a diverse prove, per verificare la fermezza della sua fede. Ma da fra Umile, sostenuto dalla quotidiana grazia di Dio, riceveva sempre i migliori risultati di docilità.

Un giorno, per esempio, durante la ricreazione comune in giardino, il Padre Maestro aveva detto a fra Umile: "Vedi quell'uccellino che cinguetta sull'albero? Se la tua obbedienza fosse perfetta come il tuo nome, non ti sarebbe difficile farlo avvicinare alle tue mani e portarmelo". Il nostro novi­zio, prendendo queste parole come un comando, si rivolse all'uccellino e lo invitò semplicemente, nel nome di Dio, ad avvicinarsi. Anch' esso obbedien­te, l'uccellino volò sulle mani del Santo già inginocchiato davanti il maestro.

Vedere fra Umile assorto nella preghiera, in coro o in chiesa durante le celebrazioni, era un sentirsi attraversare dalla devozione ed incitare all'amo­re e il servizio di Dio. Ciò si verificava sempre, anche quando fra Umile col­tivava l'orto del convento o quando camminava per strada accompagnando il frate addetto alla questua. Era, cioè, costantemente preso da pensieri divi­ni che sprigionava ovunque una tale armonia da fare esclamare tutti quelli che Io incontravano: "Ecco il novizio santo!"

Il Padre maestro, che lo conosceva intimamente, lo proponeva come modello ai compagni di noviziato, ma soltanto quando fra Umile era assen­te; e il Padre guardiano invitava speso i suoi frati a confrontarsi con le virtù da lui praticate.

 

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L'AMMISSIONE ALL'ORDINE

Anche il demonio, però, aveva posto attenzione su questo fraticello e non cessava mai di provarlo con molestie di ogni tipo, per stancarlo o per nuocere alla sua vocazione. Lo stuzzicava ogni giorno rendendolo smemo­rato o distratto e lo faceva apparire, allo sguardo dei fratelli, come un pove­ro sciocco.

Poiché era abitudine essere esaminati sulla regola e sulla dottrina cristiana, per esempio, alla vigilia della professione fra Umile aveva una gran confusione in mente e credeva di non riuscire a dare una sola risposta alle domande dell'esame. È facile immaginare le sue paure ma anche quanto grande fosse la preoccupazione dei suoi confratelli e dei superiori che, con rammarico, avrebbero dovuto chiedergli di lasciare l'Ordine se non avesse superato l'esame.

Il novizio, allora, non si sconfortò e, fiducioso nell'aiuto del cielo, si gettò ai piedi della Madre di Dio per implorare il suo sostegno. La notte pre­cedente, dopo aver controllato che nessuno fosse in chiesa, si avvicinò all'al­tare della Madonna delle Grazie - che ancora si venera sull'altare maggiore del convento di Mesoraca - e piangendo mise davanti alla Vergine le sue angosce.

"Madre santissima, i frati non possono ammettermi alla professione dei voti se non descrivo bene la regola e la dottrina cristiana... Io so di non esse­re bravo nello studio, ma mi sono consacrato a voi: fate voi, perciò, quello che volete di me." La Vergine rispose, quella notte, alle preghiere di fra Umile, dicendo: "Non ti affliggere figlio mio, poiché mia sarà la cura di renderti consolato". II Padre guardiano, che fra Umile non aveva visto, era seduto in un angolo del coro a pregare e, da lì, udì la risposta della Vergine e comprese il miracolo concesso a quel novizio. Questi, il giorno successivo, sostenne l'esame con tale disinvoltura e rispose alle domande con tanta padronanza da meravigliare frati e superiori.

Tutti poterono festeggiare, così, l'ingresso ufficiale nell'Ordine di fra Umile lodando e ringraziandone il Signore: il 4 settembre del 1610, a ventott'anni, egli si consacrò solennemente il Signore con la professione dei voti.

La semplicità della sua cultura e un attento discernimento gli fecero comprendere la particolarità della sua vocazione: fra tutti i frati dell'Ordine egli scelse di essere l'ultimo, e non solo perché portava il nome di "umile", ma anche perché la sua vita si sarebbe-svolta nell'a­dempimento dei lavori più umili del convento.

Dopo la professione solenne, infatti, fra Umile spiegò che voleva resta­re un fratello laico e non diventare sacerdote. Questi due modi di essere di un frate minore rappresentavano delle vocazioni nella vocazione: entrambi erano indirizzati ad un amore completo per Dio secondo la regola di S. Francesco ma, mentre il primo si dedicava ai lavori più semplici e manuali, il secondo serviva il Signore con i ministeri tipici del sacerdozio, celebrando i sacramenti e predicando.

Fra Umile è stato il modello di quei religiosi che si occupavano delle faccende materiali, dimostrando così il loro amore per ogni membro della fra­ternità; di quei frati che trascorrevano il loro tempo immersi nella preghiera e nel silenzio. E seppure egli fosse indirizzato il nascondimento e praticasse l'umiltà, il Signore gli donò una sapienza da teologo e la capacità di parlare il cuore dell'uomo, svelando in questo modo la magnificenza insita in ogni vocazione.

 

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