XI
GLI ULTIMI ANNI

 

Ciò che più colpisce del desiderio dì fra Umile di rientrare in Calabria è il primo gesto che egli compì quando arrivò a Bisignano. Congedata la gente, prima di rientrare nella clausura del convento, in quei grandi corridoi in cui si disponevano le celle, egli si fermò in chiesa inginocchiandosi davanti all'altare della Vergine Maria: la sua preghiera fu di ringraziamento per aver­gli permesso di ritornare vivo in quel luogo dove voleva prepararsi alla morte. Attraversando poi quei grandi corridoi del convento gli si senti dire sottovoce: "Qui sarà il mio riposo", alludendo alla sua futura morte.

«Maria Vergine Madre di Dio, io povarello peccatore vi ringrazio infini­tamente poiché vi sete degnata di raccogliere questi miei ossa in questa vostra Chiesa, persuadendomi grandemente, quanto sia la vostra cura di me, non solo custodirmi l'anima, ma anco conservarmi l'ossa di questo mio corpo: quale vivendo, avete permesso, e permetterete per sino alla morte, che sempre avesse la compagnia vostra Santissima, in particolare di questa vostra bellissima, e Santissima statua, della quale continuamente io ne sono stato divoto». La storia ci ha conservato questa preghiera, rivolta proprio alla Vergine delle Grazie che ancora si venera nella chiesa del Santuario di Bisignano, e sotto la quale ha riposato il corpo di fra Umile: lei, la Madre, è riconosciuta come la custode vigile di tutta una vita, l'abbracci che racco­glie l'ultimo respiro del servo custodendone anche il riposo.

Gli anni finali della vita di fra Umile ricordano quelli trascorsi durante il noviziato a Mesoraca: il suo tempo si consumò come in un delirio di pre­ghiera, in una comunione intimissìma con Dio. Egli si stava preparando alla morte e consapevole della sacralità di quel momento non voleva concedersi nessuna distrazione. Si preoccupava della fedeltà alla sua vocazione in quel tempo come se in tutti gli anni precedenti non avesse vissuto che nel peccato.

Da quando era rientrato non era più uscito dal convento: trascorreva le giornate in cella o in un angolo nascosto della chiesa o ancora, più intima­mente, nella sua amata grotta dell'orto, dove il fervore del suo cuore toccava eccessi indescrivibili. In questo luogo di privilegi egli poteva anche dormire pur di accontentarlo i superiori gli avevano concesso questo permesso. Così durante le notti in quella grotta, la sua preghiera diventava ancora più intensa, confidente, amorevole. A volte fra Umile non disdegnava di piange­re pregando, poiché supplicava il Signore di liberare presto il suo cuore, di mostrargli presto il suo volto. L'attesa dell'Amato era ormai colma, traboc­cante.

Ma per fra Umile erano ancora riservate delle sofferenze: quei giorni non passarono, infatti, senza le tentazioni del demonio che, peggio che negli anni precedenti, s'era accanito contro di lui. Quando il frate si dedicava alla pre­ghiera notturna quelle lusinghe si trasformavano addirittura in violenza fisi­ca. Il demonio provava a scalfire la sua anima e, non riuscendo a smuover­la, ne attaccava il corpo: così, quanto più fra Umile si manteneva vicino a Dio tanto più si sentiva marcire nella malattia. Per tutto il tempo di queste sofferenze fra Umile non si lasciò mai scappare una parola di sconforto, né un lamento o un disgusto. Era anzi sereno come sempre, il sorriso non lo abbandonava mai, e il suo volto lasciava trasparire l'armonia dei suoi pen­sieri. L'attesa della morte trascorse, perciò, nell'edificazione dei frati che, assistendolo, impararono da lui, mentre per fra Umile fu l'occasione per la perfezione finale.

 




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